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L'EPOCA (marzo 1848 - marzo 1849)
Un Laboratorio per la Democrazia Nazionale

Maria Pia Casalena (University of Bologna)

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Epoca

Il primo numero dell’«Epoca» uscì il 16 marzo 1848, il giorno dopo la promulgazione dello Statuto che trasformava lo Stato Pontificio in una monarchia moderatamente liberale. Il giornale sostituiva due fogli pubblicati nei mesi precedenti: «L’Italico» e «La Bilancia»; rispetto al primo, sanciva il proseguimento della collaborazione tra Michelangelo Pinto e Leopoldo Spini.

Il nome scelto per il quotidiano manifestava la fiducia, ma anche l’auspicio, nell’avvio di una nuova stagione, della quale la costituzione rappresentava il primo segnale: una nuova epoca, dello Stato Pontificio e della nazione italiana, che il giornale avrebbe interpretato con un ottimismo non privo di realistica prudenza.

[I direttori] scelsero siffatta denominazione a significare ch’essi […] vogliono […] parlarvi de’ bisogni presenti, e delle speranze per l’avvenire, non proponendosi utopie […] ma idee pratiche e praticabili, […] tenendo […] conto delle limitazioni che alle teoriche generali danno gli ostacoli parati innanzi, e le condizioni poste intorno, alle quali s’ha da riparare col tempo e colla civile sapienza, e non urtarvi contro come ciechi e furibondi […] (1).

Aderendo a posizioni di riformismo moderato per lo Stato Pontificio, il giornale esplicitava già la speranza che si addivenisse presto ad una alleanza tra i sovrani italiani per una guerra contro l’Austria. L’«Epoca» si presentava come voce neoguelfa, coerente con il “programma” auspicato da Gioberti nel trattato Del Primato morale e civile degli Italiani e reso più concretizzabile dopo che nel 1846 era stato eletto al soglio pontificio Giovanni Mastai Ferretti, già acclamato come “papa liberale” per la concessione dell’amnistia, l’istituzione della Consulta di Stato e della Guardia civica. In effetti, «L’Epoca» era inizialmente l’organo semiufficiale di quel Circolo Nazionale Romano, guidato da illustri aderenti alle tesi giobertiane, in buona parte aristocratici, come il conte-filosofo pesarese Terenzio Mamiani, il quale avrebbe meritato molti lusinghieri cenni su quelle colonne, fino ai fatti sanguinosi di novembre (2). Tuttavia, rispetto a quel milieu, l’«Epoca» appariva più incline a posizioni laiche, e più disponibile alle istanze democratiche. Del resto, molto spazio riservava pure al Circolo Popolare, in cui prevalevano forze borghesi – professionisti, insegnanti, artigiani – permeabili all’influsso di correnti critiche di matrice democratica.

Esaminata più nei dettagli, l’«Epoca» faceva mostra sin dall’inizio di una adesione alquanto circospetta al neoguelfismo, fatta proprio da intellettuali che spesso avevano alle spalle tutt’altre esperienze.

Inaugurato da una direzione di tre membri, già il 3 aprile «L’Epoca» perdeva Andrea Cattabeni, costretto ad accomiatarsi dai lettori per tornare – questa era la motivazione ufficiale - ai doveri della professione forense (3). Fino al dicembre di quell’anno, il quotidiano sarebbe quindi rimasto nelle mani di Michelangelo Pinto e Leopoldo Spini.

Pinto, originario della Basilicata, a Roma aveva dato luogo ad un’intensa attività pubblicistica (4), culminata nel 1847 con «L’Italico», nella primavera 1848 con l’«Epoca» e, nel settembre di quell’anno, con il «Don Pirlone», un foglio satirico e anticlericale che conobbe una rilevante diffusione alla vigilia della proclamazione della Repubblica romana (5).

Il trentatreenne romagnolo Leopoldo Spini (6) fu probabilmente il principale compilatore del quotidiano. Questa ipotesi sembra avvalorata, tra l’altro, dal fatto che quasi tutta la corrispondenza indirizzata alla «Direzione dell’Epoca», si rivolgeva a lui solo, senza accennare ad altri responsabili. Scrivendo a Alexander Herzen, il socialista russo che era stato esule in Italia, Spini dichiarava di aver preso le vesti di «papista repubblicano», e pregava l’amico di non condannare quella posizione di compromesso, che d’altra parte era durata solo qualche mese. Come spiegava nel proseguio della lettera, dopo il 1846 Spini aveva anteposto la sorte della nazione alle pregiudiziali ideologiche, e quindi auspicato che l’intervento di Pio IX accelerasse la liberazione dall’Austria. Non aveva rinnegato il credo democratico. Anzi: il fatto che nella vicina Francia fosse appena nata una Repubblica, e che fosse così presto venuto meno il sostegno papale alla guerra nazionale, gli dava, già nel maggio del 1848, la certezza che la rivoluzione di popolo avrebbe avuto la meglio in molti altri paesi (7).

Footnotes

(1) Così nell’editoriale anonimo del 16 marzo: «L’Epoca», a. I, n. 1, 16 marzo 1848, p. 1.

(2) Sul nobile marchigiano cfr., tra gli altri, il lavoro di Marcella Pincherle, Moderatismo politico e riforma religiosa in Terenzio Mamiani, Milano, Giuffrè, 1973 e il recente Antonio Brancati – Giorgio Benelli, Divina Italia. Terenzio Mamiani della Rovere cattolico liberale e il Risorgimento federalista, Ancona, Lavoro editoriale, 2004.

(3) Avvocato di origine marchigiana, Cattabeni avrebbe legato in seguito la sua attività politica alla democrazia subalpina. Cfr. Domenico Spadoni, I Cairoli delle Marche: la famiglia Cattabeni, Macerata, Libreria editrice marchigiana, 1906; sulla rete di relazioni nel liberalismo locale, prima e dopo l’annessione al Regno sabaudo, cfr. Marco Severini, Camillo Marcolini patriota e notabile, in Id. (a cura di), Camillo Marcolini: un progetto liberale dopo l’Unità, Fano, Fondazione Cassa di Risparmio, 2006, pp. 65-105.

(4) La vita e l’attività politica di Michelangelo Pinto, destinata ad incrociarsi con i momenti cruciali del Quarantotto italiano, nonché con la successiva vicenda delle forze democratiche e dei movimenti nazionali nell’Europa orientale, sono stati al centro di alcuni lavori solidamente documentati. Si veda il volume curato da Elena Vecchi Pinto, Michelangelo Pinto da Roma a Torino per la Confederazione Italiana, 17 dicembre 1848 – 9 febbraio 1849, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1983 e, della stessa, la ricostruzione di fatti di poco successivi: La missione di Michelangelo Pinto inviato presso il governo sardo (1 aprile – 5 luglio 1849), in «Rassegna storica del Risorgimento», XIV (1936), pp. 312-368. Per una valutazione della dimensione internazionale di Pinto, si rinvia a Francesco Guida, Michelangelo Pinto. Un letterato e patriota romano tra Italia e Russia, Roma, Archivio Guido Izzo, 1998. Informazioni preziose sul suo itinerario politico e sull’attività giornalistica si trovano nelle memorie pubblicate dallo stesso Pinto a distanza di pochi anni dalla caduta della Repubblica romana: Don Pirlone a Roma: memorie di un italiano dal 1 settembre 1848 al 31 dicembre 1850, Torino, Tipografia del Progresso, 1852-1853.

(5) Nel 2005 il «Don Pirlone» è stato al centro di una mostra documentaria: si veda Marco Pizzo (a cura di), La satira restaurata. Disegni del 1848 per il “Don Pirlone”, Roma, Museo Centrale del Risorgimento, 2 giugno-16 ottobre 2005, supplemento della «Rassegna storica del Risorgimento», 2005, n. 4.

(6) Notizie sulla collaborazione politica di Pinto e Spini si trovano in Elena Vecchi Pinto, Michelangelo Pinto da Roma a Torino cit., passim. Un breve profilo biografico di Spini è stato ricostruito da Marc Vuilleumier, Un patriote italien refugié à Genève: Leopoldo Spini, in «Musées de Genève», XIV, 1973 (n. 133), pp. 5-8, e in Marc Vuilleumier – Michel Aucouturier – Sven Stelling-Michaud – Michel Cadot (éds.), Autour d’Alexandre Herzen. Documents inédits, Genève, Droz, 1973, pp. 10 ss. Peraltro, Vuilleumier pone l’accento sull’adesione del romagnolo al fronte “piononista”, enfatizzando i legami con Mazzini e la democrazia soltanto nell’ambito del dopo-Quarantotto, degli anni dell’esilio e della collaborazione con «L’Italia del Popolo».

(7) Leopoldo Spini a Alexandre Herzen, 9 maggio 1848, edita in Autour d’Alexandre Herzen, pp. 67-70, citazione a pag. 68.