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Leopoldo Spini: Cenni Bibliografici di un Esule Risorgimentale

Clizia Magoni (University of Bologna)

Nella prima pagina dello script che accompagna il Panorama Garibaldi, l’anonimo autore riporta tra le fonti da lui utilizzate per narrare la vita dell’eroe italiano, anche una Vie et exploits de Garibaldi di Léopold Spini. Sebbene quest’opera risulti a tutt’oggi introvabile (1), numerose biografie dell’eroe dei Due Mondi pubblicate tra gli anni Sessanta e Ottanta del XIX secolo citano l’opera di Spini come fonte per riferire del periodo trascorso da Garibaldi a New York nel 1851. Tale episodio, dal gusto aneddotico, si ritrova raccontato anche nello script senza tuttavia essere illustrato nel Panorama.

Ora, chi era Léopold, o meglio Leopoldo Spini? Spini non fu solamente un biografo dell’eroe nizzardo, fu soprattutto un intellettuale che prese parte in prima persona ad alcuni degli avvenimenti che portarono all’unità d’Italia e che visse drammaticamente, con l’esilio, le conseguenze del suo impegno politico. Le sue vicende si inscrivono in un percorso comune ad altri “uomini” del Risorgimento, con i quali Spini condivise, intrecciandosi, itinerari politici e letterari molto simili.

Nato a Ravenna nel 1815, Leopoldo Spini si trasferì a Roma dove studiò legge alla Sapienza. Nell’ateneo romano conobbe Michelangelo Pinto con il quale nel 1848 rinsaldò un già forte sodalizio professionale codirigendo il giornale quotidiano l’Epoca e la testata satirica Il Don Pirlone. Giornale di Caricature Politiche.

Tra il dicembre del 1848 e il febbraio dell’anno successivo, Spini e Pinto furono accreditati ambasciatori dal governo provvisorio romano affinché sottoponessero al governo toscano e sabaudo la questione della costituente italiana (2). Di ritorno dalla missione diplomatica a Torino, nel marzo 1849, Spini fu nominato “Segretario del Potere esecutivo” della neonata Repubblica romana, cioè del Triumvirato composto da Mazzini, Saffi e Armellini.

Dopo la caduta della Repubblica romana nel luglio 1849, l’esistenza di Leopoldo Spini fu quella caratteristica dell’esule risorgimentale, costretto per sopravvivere a riparare nel Regno costituzionale di Sardegna oppure all’estero. Nell’autunno dello stesso anno, dopo una breve permanenza a Genova, Spini si rifugiò dunque in Svizzera, dapprima a Losanna poi a Ginevra, dove collaborò all’Italia del Popolo di Giuseppe Mazzini, attirandosi peraltro l’attenzione della diplomazia francese. Dalla Svizzera continuò a mantenere contatti, testimoniati da una corrispondenza epistolare, con il socialista e populista russo Alexander Herzen (3), conosciuto anni prima a Roma.

Nell’esilio, tuttavia, Spini condusse una vita ritirata, lontana dal diretto coinvolgimento nella scena politica. Si sposò nei pressi di Ginevra e per qualche tempo dovette lavorare nell’attività gestita dalla suocera, commerciante di farina, continuando nondimeno a suscitare i sospetti sabaudi di complotti orditi dai mazziniani. Acquisita la cittadinanza ginevrina nel 1854, a partire dal 1856 ebbe modo di trovare delle occupazioni più conformi alle proprie inclinazioni: nell’autunno di quell’anno, infatti, tenne una serie di incontri sulla storia della letteratura italiana presso l’insegnamento secondario. Di queste lezioni rimane testimonianza nel Résumé des Séances sur la littérature dramatique de l’Italie, ovvero il riassunto del corso di storia del teatro italiano. Sul finire degli anni Cinquanta dell’800, cioè nello stesso periodo in cui era impegnato nell’insegnamento di letteratura drammatica, Spini per il tramite di Michelangelo Pinto, fu anche incaricato di scrivere una tragedia per la celebre attrice italiana Adelaide Ristori (1822-1906).

Nel 1859, approfittando della liberazione dell’Italia settentrionale, Spini decise di fare ritorno in patria per rendere visita alla sua famiglia che risiedeva a Ravenna. Tale decisione gli si rivolse contro. Malgrado il suo passato di patriota e nonostante avesse passaporto svizzero, Spini fu arrestato quando si trovava presso i suoi familiari (4). Il governo provvisorio instauratosi nell’ex dominio pontificio, infatti, diffidava ancora dell’antico mazziniano. Fu così imprigionato, in seguito espulso e infine costretto a tornare in Svizzera. Nel 1861, Spini fu incaricato di tenere un corso in italiano su Dante presso la Faculté des lettres di Ginevra: si trattava del primo insegnamento di letteratura italiana in seno all’università. La morte, tuttavia, sopraggiunta nell’aprile del 1861, lo colse prima che potesse ricoprire tale incarico (5).

La sua attività in Svizzera, la stima di cui godeva all’interno della comunità intellettuale ginevrina trova testimonianza nelle pagine del celebre Journal intime di Henri-Frédéric Amiel. In occasione della morte dello Spini, Amiel annota:

«Samedi 27 Avril 61. Léopold Spini est mort, au moment de commencer son cours à l’Académie. La mort frappe beaucoup autour de moi. Ce pauvre Spini! exilé, proscrit, pauvre, mal marié, malade, il meurt juste quand sa patrie ressusscitée le rappelle, et que la fortune commence à lui sourire. Quelle destinée! et un homme si intelligent, si instruit, si courageux. Je ne reverrai plus l’Italien aux yeux bleus, l’enfant de Ravenne, devenu secrétaire des triumvirs de la République romaine en 1849, ce littérateur, médecin, patriote, si sympathique et si vivant de cœur et d’esprit. Je demanderai aux étudiants d’accompagner son convoi» (6)

Il 28 aprile ebbe luogo il funerale. Annota ancora Amiel nel suo diario:

«L’honneur a été plus nombreux que je ne pensais, composé d’hommes de lettres, de quelques Italiens et de particuliers de la ville (dans les familles desquels le défunt avait sans doute donné des leçons).  (...) Quel tissu d’infortunes que l’existence de ce pauvre Spini. il paraît que son corps était méconnaissable. (...) Spini était la perle de l’émigration italienne à Genève. Aussi a-t-il le plus souffert» (7).

Il credito intellettuale nonché le doti poetiche di cui godeva a Ginevra sono attestate altresì all’interno dell’opera Genève et ses poëtes du XVIème siècle à nos jours, dello storico svizzero Marc Monnier che annoverava «un Italien devenu Genevoi, Lépold Spini» tra i poeti ginevrini contemporanei degni di nota. «Il a brillé à Genève» scriveva Monnier « par les conférences qu’il a données sur Dante et il a laissé un recueil encore inédit de fables écrites en italien» (8).
Quanto ci resta dell’attività di insegnamento di letteratura italiana in Svizzera, dunque, è il Résumé des Séances sur la littérature dramatique de l’Italie, ovvero gli appunti delle lezioni di storia del teatro italiano che Spini tenne nei locali dei Cours supérieurs des Demoiselles  a Ginevra tra il 1858 e il 1859 (9).

Si tratta di un testo manoscritto composto da appena 16 pagine - attualmente conservato presso la Biblioteca Nazionale Svizzera di Berna - , nel quale Spini prendeva in considerazione la letteratura drammatica italiana dall’antichità romana sino al Settecento. Il periodo di osservazione così esteso non riflette tuttavia una trattazione omogenea da parte dell’autore: l’analisi riguardante la letteratura drammatica durante l’antichità romana, le invasioni barbariche e il basso medioevo occupano infatti lo spazio di poche righe, concentrandosi l’attenzione sul XVI, XVII e XVIII secolo.

« Le théâtre latin» esordiva Spini «n’eut jamais une supériorité bien marquée en face du théâtre grec, car au moment où les Romains auraient pu l’élever au faite de la perfection, ils perdirent leur liberté. De Sénéque à l’art des mimes le passage fut bien rapide : le gouvernement impérial redoutait toute expression de grandes passions sociales» (10).

Nelle considerazioni iniziali di Spini è possibile cogliere l’eco di quanto diversi anni prima aveva affermato Sismondi nelle stesse sale dei Cours supérieurs des Demoiselles insegnando la storia della letteratura dell’Europa meridionale: ossia il legame indissolubile tra il genio creatore e la libertà politica (Sismondi aveva poi pubblicato le lezioni tenute a Ginevra nell’opera De la littérature du Midi de l’Europe, edita per la prima volta nel 1813 e riveduta e riedita in seguito nel 1829) (11).

In un’ottica culturale profondamente romantica, anche per Spini l’arte in tutte le sue manifestazioni era prima di tutto un’espressione storica. Esisteva un legame, un’influenza stretta tra la letteratura e le istituzioni politiche e religiose, tra la libertà civile e il genio creatore. Valeva il principio che la libertà civile condizionava interamente lo sviluppo non solamente della società ma anche della letteratura. La storia della letteratura drammatica in Spini rappresentava dunque non tanto una storia di testi, quanto una storia dell’affermazione della libertà che andava di pari passo con l’affermazione delle nazioni, e di un “primato” italiano inteso – a differenza di quanto era avvenuto col trattato giobertiano quindici anni prima, in senso laico e democratico, nell’ambito della civiltà dell’Europa.

Dopo il breve accenno al mondo romano seguiva poi un altrettanto breve riferimento alla letteratura drammatica del Medioevo. «L’invasion des Barbares» continuava Spini «arrêta toute espèce d’expression artistique ; mais la passion de la scène qui existe chez tous les peuples revint bientôt et l’Eglise, alors seule puissante sur les esprits, fut à même de dominer cette passion, de l’exploiter même par des représentations ecclésiastiques» (12).

La svalutazione del medioevo ispiratore di tanta letteratura romantica aveva in Spini un tono dagli accenti anticlericali, improntato, come tutta quanta l’analisi, sul criterio dell’originalità. Durante il medioevo il teatro non poté assurgere al traguardo della perfezione poiché fu limitato non solamente dalla forte autorità politica esercitata dalla Chiesa, ma anche dalla pedissequa imitazione del teatro latino. Tali vincoli, secondo l’analisi di Spini, impedirono al teatro italiano del medioevo di esprimere dei caratteri di originalità nazionale, un’originalità che si manifestò soprattutto quando venne adottata la lingua volgare.

«On aurait pu croire» affermava Spini «que l’Italie, à la fin du XIIIe siècle, lorsqu’elle enfantait l’art nouveau dans son expression la plus complète eût créé le drame ; il n’en fut rien. [...] ; tous ces efforts restèrent impuissants, d’abord parce que ce n’était là qu’une imitaion de la décadence romaine, ensuite parce que ces pièces furent écrites en latin» (13).

Nel breve excursus lungo tanti secoli, Spini si soffermava in particolare sul teatro del XVI secolo, genere nel quale l’Italia poté affermare tanto nella commedia come nella tragedia il suo primato in Europa. Un primato dell’Italia teso a mostrarne i caratteri di originalità (gli autori del teatro italiano del Cinquecento saranno fonte di imitazione o ispirazione per i più importanti drammaturghi europei dei secoli successivi), ma sopratutto un primato dell’Italia che si declinava, in Spini, in termini antagonistici con il più celebrato teatro francese.

« Quelques années avant l’origine de la tragédie régulière, la comédie s’était fait jour en Italie, mais avec des couleurs bien autrement originales. Le théâtre comique du XVIe siècle est une vraie gloire de ce pays. C’est peut-être le premier théâtre de l’Europe si l’on excepte Molière qui dut cependant beaucoup aux auters italiens» (14).

Se il valore del teatro italiano del XVI secolo risiedeva dunque nel primato della tradizione autoctona su scala europea, il teatro del XVII secolo, profondamente condizionato dal clima controriformistico, non offriva per Spini spunti di interesse in tale senso. Nel XVIII secolo, i tentativi di riformare la commedia sull’esempio del teatro francese non produssero alcun risultato originale. Solamente con Goldoni, autore eminentemente borghese, il genere comico italiano conobbe un nuovo periodo di splendore. A «Carlo Goldoni», «que l’Italie a proclamé son Molière», affermava Spini, spettò «la gloire ... de réformer la comédie italienne ».

Sfortunatamente, come si evince dal testo, non sono giunti sino a noi gli appunti relativi alle lezioni sulla letteratura drammatica contemporanea, che avrebbero preso in considerazione gli autori drammatici italiani a partire da Metastasio, e soprattutto da Vittorio Alfieri. Proprio nella produzione teatrale alfieriana, infatti, è da fare risalire l’importanza che il teatro rivestì nel corso del Risorgimento. A partire dal Triennio giacobino, di cui la società risorgimentale raccolse l’eredità, e proprio in relazione alle tragedie del drammaturgo astigiano, il teatro mostrò agli scrittori italiani come fosse possibile coniugare dialetticamente azione scenica e impegno civico, come il palcoscenico potesse diventare uno strumento di propaganda ideologica e di comunicazione politica efficace. Il teatro di derivazione giacobina dimostrò inoltre che molte opere di autori celebri (da Metastasio ad Alfieri) potevano essere interpretate in chiave di viva attualità e servire l’ideologia del tempo. Al teatro, infatti, molti scrittori guardarono come il mezzo per poter instaurare un dialogo diretto con il pubblico.

Il Risorgimento raccolse dunque l’eredità giacobina mediandola con le suggestioni nuove provenienti dalla cultura romantica. Il concetto di patria, nazione e popolo intesi in senso nuovo e moderno, l’idea di progresso sociale, la religione della libertà, lo spirito di sacrificio particolarmente accentuato nel pensiero mazziniano, questi elementi confluirono tanto nelle opere teatrali composte in questo periodo, quanto nella considerazione stessa che si ebbe del teatro. Attraverso la scena era possibile assumere e vivere la questione dell’unità e dell’indipendenza nazionale come una questione morale, prima ancora che come problema politico in senso stretto. Attraverso il teatro diventava possibile formare una coscienza nazionale. Il teatro permise agli intellettuali italiani di accedere ad un pubblico socialmente eterogeneo, di trasferire nelle parole e nei gesti degli attori l’impegno e il coinvolgimento nella causa italiana (15).

È dunque all’interno di questo contesto “risorgimentale” che occorre inserire l’interesse di Spini nei confronti del teatro italiano, un interesse che tuttavia non si limitò alla sola critica letteraria finalizzata all’insegnamento. Come si è accennato, nel periodo in cui era impegnato nelle lezioni di letteratura drammatica italiana, nel corso del 1857, fu incaricato dall’amico Michelangelo Pinto, che a quel tempo si trovava a Parigi e che già si era cimentato in quegli stessi anni nella composizione di drammi teatrali (16), di comporre una tragedia per l’attrice italiana Adelaide Ristori. Secondo i desideri della celebre interprete, il dramma si sarebbe dovuto svolgere in un paese del Nord, contemplando delle scene altamente drammatiche atte a mettere in risalto il talento della Ristori. Inizialmente Spini pensò di trarre ispirazione dalle vicende di Caterina II, ma temendo la censura politica in Francia, compose un torbido dramma ambientato in Boemia (17).

L’episodio è degno di nota. Proprio i drammi di ambientazione storica, infatti, furono i soggetti prediletti del teatro risorgimentale. A partire dal ’48, inoltre, furono proprio gli avvenimenti che portarono all’unità nazionale, a costituire la fonte di ispirazione per la creazione di nuove opere.

Ma ciò che risulta meritevole di ulteriore interesse è il fatto che la tragedia fosse destinata proprio ad Adelaide Ristori, dal momento che la Ristori non fu solo la più conosciuta attrice italiana dell’800, fu anche una fervente patriota. Fin dal Quarantotto, infatti, la Ristori mise al servizio della causa nazionale il suo conclamato talento scenico, infiammando gli animi degli spettatori nel corso di numerose rappresentazioni. La Ristori si fece portavoce (anche su incarico ufficiale) della causa nazionale all’estero (come avvenne negli anni Cinquanta a Parigi e a Londra) intessendo una fitta rete di rapporti con i numerosi esuli italiani (18). Spini dunque, al pari di altri esuli risorgimentali, fece parte di questo esteso réseau di persone che unì attorno al teatro, attorno a questo efficace strumento di comunicazione politica, autori, attori, intellettuali e uomini politici.

In questi elementi sinora evidenziati si crede che risieda l’interesse fornito dalla figura méconnue di intellettuale risorgimentale di Leopoldo Spini, ascrivibile all’interno di un quadro culturale che, nella rappresentazione storica (fosse essa teatrale o afferisse al genere biografico) di uomini e fatti del Risorgimento, e nella critica della letteratura drammatica italiana e nell’insegnamento di Dante, ha trovato uno dei più efficaci strumenti di legittimazione del patriottismo nazionale. Proprio l’insegnamento di Dante all’estero accomunò molti esuli risorgimentali (19). Si pensi all’amico di Spini, Michelangelo Pinto, che dal 1860 insegnò letteratura italiana presso l’università di Pietroburgo, inaugurando il lettorato con un corso dedicato a Dante. Son poème et son siècle (20), o Aurelio Saffi, col quale aveva anche diviso casa nei primi tempi dell’esilio svizzero, che negli anni Cinquanta tenne in Inghilterra dei corsi sull’autore della Divina Commedia. Nell’introdurre il corso su Dante al suo uditorio inglese, l’antico triumviro della Repubblica romana affermava «per l’amore della terra natale e del suo Poeta» di essersi consacrato allo studio di Dante per colmare «collo studio delle dottrine dell’Alighieri, le amare ore di un esilio nato da quelle stesse miserie della Patria per cui quel Padre della nostra lingua dettò nel dolore e nella povertà le sue pagine immortali» (21).

Footnotes

(1) Uno dei più recenti repertori bibliografici su Giuseppe Garibaldi, A. P. Campanella, Giuseppe Garibaldi e la tradizione garibaldina. Una bibliografia dal 1807 al 1907, 2 vol., Comitato dell’Istituto Internazionale di Studi Garibaldini, Gand Saconnex, Ginevra, 1971 riporta: Spini Léopold, Vie et exploits de Joseph Garibaldi, par L. S., ancien membre de la Constituante Romaine, Genève, 1859, 16° (vol. I, p. 40).

(2) Sulla collaborazione tra Spini e Pinto, delegati della Giunta provvisoria romana a Torino all’epoca del governo Gioberti e del Congresso federale italiano, cfr. E. Vecchi Pinto, Michelangelo Pinto da Roma a Torino per la Confederazione Italiana, 17 dicembre 1848 – 9 febbraio 1849, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1983.

(3) Cfr. M. Vuilleumier – M. Aucouturier – S. Stelling-Michaud – M. Cadot (éds.), Autour d’Alexandre Herzen. Documents inédits, Genève, Droz, 1973, pp. 10 ss.

(4) Cfr. Gli archivi dei governi provvisori e straordinari 1859-1861, vol II, Romagne, Provincie dell’Emilia, Roma 1961, p. 166.

(5) M. Vuilleumier, Un patriote italien réfugié à Genève: L. Spini (1815-1861), in «Musées de Genève», XIV, 1973, n. 133, pp. 5-8.

(6) H.-F. Amiel, Journal Intime, tome IV, Décembre 1860-Mai 1863, Édition integrale publiée sous la direction de Bernard Gagnebin et Philippe M. Monnier, Texte  établi et annoté par Philippe M. Monnier et Anne Cottier-Duperrex, Lausanne, Éditions l’Âge de l’Homme, 1981, p. 145.

(7) Ibidem, p. 148.

(8) M. Monnier, Genève et ses poètes du XVIème siècle à nos jours, Paris, Sandoz et Fischbacher, Genève, F. Richard et Cie, 1874, pp. 500-501.

(9) Nel corso della prima metà dell’Ottocento la storia del teatro italiano fu oggetto di un profondo interesse da parte della critica letteraria in un’ottica più ampia di costruzione di un nuovo paradigma di storia nazionale, teso soprattutto dopo il 1810 a emancipare la tradizione autoctona dalla “tutela” politica e culturale esercitata dalla Francia.

(10) Leopoldo Spini, Résumé des Séances Sur la Littérature dramatique de l’Italie Données par Léopold Spini dans le local des Cours Supérieurs des demoiselles, rue des Chanoines [Fribourg] 1857-1858, p. 3.

(11) Jean-Charles-Léonard-Simonde de Sismondi, De la littérature du midi de l’Europe, troisième édition, revue et corrigée, Paris, chez Treuttel et Würtz, 1829, 4 vol. Questa storia della letteratura dell’Europa meridional, dunque, traeva origine dalle lezioni che Sismondi aveva tenuto a Ginevra davanti ad un uditorio femminile. Sull’opera di Sismondi si veda: S. Balayé, Un historien devant la littérature, in Sismondi Européen, Actes du Colloque international tenu à Genève les 14 et 1 septembre 1973, sous la direction de Sven Stelling-Michaud, Genève – Paris, Slatkine-Champion, 1976, pp. 261-274 ; R. Villeneuve, «De la littérature du Midi de l’Europe» : le lecteur Sismondi,in Sismondi Européen, cit. , pp. 275-286 ; F. Rosset, Sismondi et l’histoire de la littérature du européenne, in F. Sofia (ed.), Sismondi e la civiltà toscana. Atti del Convegno internazionale di studi Pescia, 13-15 aprile 2000, Firenze, Olschki, 2001, pp. 165-176.

(12) Leopoldo Spini, Résumé des Séances, cit., p. 3.

(13) Ivi., p. 4.

(14) Ibidem.

(15) Sul teatro in Italia nell’Ottocento: C. Meldolesi, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Roma, Laterza, 1991; C. Sorba, Teatri: l'Italia del melodramma nell'età del Risorgimento, Bologna, il Mulino 2001; N. Mineo – G. Nicastro, 44: Giusti e il teatro del primo Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1976.

(16) Cfr. F. Guida, Michelangelo Pinto, cit., pp. 64 e 73.

(17) M. Vuilleumier, Un patriote italien, cit., p. 8.

(18) Cfr. le memorie recentemente riedite: Adelaide Ristori, Ricordi e studi artistici, a cura di Antonella Valoroso, Roma, Audino, 2005. Sulla Ristori quando ancora era in vita furono pubblicati ricordi encomiastici della sua attività di attrice. Si vedano: Emma Perodi, Adelaide Ristori marchesa Capranica del Grillo: ricordi e aneddoti della sua vita, Palermo, S. Biondo, 1902; Ricordo Nazionale. Adelaide Ristori, Roma, E. Voghera, 1902. Si vedano inoltre i recenti studi: Mirella Cassisa – Liliana Naldini, Adelaide Ristori: la marchesa del Grillo, un’attrice del Risorgimento, Pinerolo, Alzani. 2000; Teresa Viziano, Adelaide Ristori: repertorio, scenario e costumi di una compagnia drammatica dell’Ottocento, Roma, Bulzoni, 2000.

(19) Cfr. F. Di Giannatale, L’esule tra gli esuli. Dante e l’immigrazione politica italiana dalla restaurazione all’Unità, Pescara, Edizioni Scientifiche Abruzzesi, 2008.

(20) Cfr. F. Guida, Michelangelo Pinto, cit., p. 87.

(21) A. Saffi, Letture storiche sul Medio-Evo, in A. Saffi, Ricordi e scritti 1849-1857, Firenze, G. Barbéra, 1899, p. 295.